
Scrissi questo articolo sul regista Billy Wilder per una signora conosciuta in chat. Specificai che avrei parlato solo del cinema di epoca classica, cioè il periodo che per me arriva fino agli inizi degli anni Sessanta. Citerò solo i film che ho visto e che ricordo, sono quelli visti quando la Rai era in bianco e nero o lo era il mio televisore.
Un nota introduttiva per riportare alla mente come venivano proiettati i film in tivvù parecchi anni fa. Dunque, ho già detto altrove della penuria assoluta di programmazione cinematografica nel palinsesto televisivo monopolista. Due o tre film a settimana quando andava bene, tra cui non più di uno realmente appassionante (e qui per film appassionanti si intendono pellicole alla Mezzogiorno di fuoco o alla Il mistero del falco). Inoltre, prima della sospirata visione dovevi sorbirti almeno un quarto d’ora di ciance pompose dette da un critico cinematografico rigorosamente in giacca e cravatta e gamba accavallata in poltrona mostrante calzino grigio classico e scarpa nera ugualmente classica. Gli indesiderati commentatori rispondevano ai nomi di Gianluigi Rondi, Claudio G. Fava e Callisto Cosulich e avevano la caratteristica comune di suscitare milioni di accorate suppliche al Creatore affinché si togliessero dai coglioni al più presto. Le suppliche non venivano mai esaudite. Ma le performance soporifere dei critici avevano almeno l’effetto di acuire in maniera inaudita il tuo desiderio (meglio, la tua bramosia) di cinema, di modo che quando lo spettacolo iniziava eri risoluto come non mai a recitare in prima persona accanto a gente come James Stewart o Katharine Hepburn. Forse molti di noi devono il grande amore che ancora oggi li lega al cinema alle migliaia di bestemmie che hanno mitragliato contro i saccenti critici della Rai.
Iniziamo in ordine cronologico. Il primo film che ricordo è Frutto probito del 42. Ginger Rogers (una volta tanto non balla), rimasta senza soldi, si traveste da minorenne, facendosi aiutare dal baldo ufficiale Ray Milland che chiaramente si innamora di lei. Non ricordo molto di questa storia, c'erano bei dialoghi e situazioni spumeggianti, però Ginger Rogers era una donna così matura e provocante che proprio non ci riusciva a passare per adolescente.
Il secondo film è un'opera mitica, La fiamma del peccato, 1944, una di quelle storie che mi facevano impazzire. Formidabile inizio con Fred MacMurray (qualcuno lo ricorderà, l'ufficiale fellone che ha paura di denunciare alla corte marziale Bogart in Gli ammutinati del Caine) colpito a morte che spiega la sua storia a un registratore. MacMurray è un assicuratore amante e complice in un delitto della dark lady Barbara Stanwyck. Edward G. Robinson (provate a dire, o quarantenni, che non sapete chi è) è un suo collega dalla diabolica intelligenza che lo smaschera. Atmosfere noir doc, sensualità a non finire (celebre il braccialetto che la Stanwyck indossava a una caviglia), forse mancava un po' di amore, per i miei gusti.
Giorni perduti del 45. La storia dell'alcolista Ray Milland. Film bellissimo e moderno, premiato con quattro Oscar, tra cui miglior film e regia. Visto di recente non sembra invecchiato di un giorno, consigliato vivamente a chi se l’è lasciato scappare. Scandalo internazionale, 1948. Nel 1946 una commissione del Parlamento americano arriva a Berlino per un'inchiesta sulla fraternizzazione tra americani vincitori e tedeschi sconfitti. Sferzante commedia in cui il cinico Billy Wilder se la ride alla grande del puritanesimo yankee alle prese con la Germania in rovina. La cosa più bella del film è il duetto tra l'ingenua Jean Arthur, moglie puritana di un senatore, e Marlene Dietrich, disincantata ex maggiorente del regime nazista che si industria con tutte le sue arti femminili per sopravvivere alla fame e alla rovina morale degli sconfitti. La Dietrich canta una delle sue roche e sensuali canzoni (“Black Market”) in un locale frequentato da truppe americane: donna magnifica.
Di Viale del tramonto, anno 1950, s’è detto tutto e il contrario di tutto. Film grandissimo e bellissimo come pochi. William Holden è uno sceneggiatore in difficoltà professionale. Accetta di rivedere un orribile copione che gli propone Gloria Swanson, vecchia diva del muto che sogna un clamoroso ritorno al successo. La diva proietta di continuo suoi vecchi film, i suoi ospiti sono mummie sopravvissute del muto (c’è anche Buster Keaton). Per un po’ Holden accetta l’ambiguo rapporto con la ricchissima e palesemente pazza diva (che implica anche la condizione di mantenuto della stessa). Infine cerca di lasciarla, ma la Swanson gli spara mentre sta andandosene. L’uomo cade nella piscina della villa, simbolo delle cose che aveva tanto desiderato. Posso ribadire
l'emozione che provai all'attacco della voce fuori campo di William Holden, che faceva all'incirca: “Questo nella piscina è il mio cadavere e questa è la mia storia”. Nove nomination all'Oscar. Aggiungerò che Wilder ci godeva un mondo nel far interpretare i suoi personaggi morbosi ad attori che avevano gli stessi difetti. Gloria Swanson (la sua parte fu rifiutata da Mae West e da un'infinità di dive del passato) era davvero la diva retrò e pacchiana che interpretava. Erich von Stroheim (vero ex marito della Swanson) aveva sul serio certe tendenze viziose (suo il suggerimento di farsi riprendere mentre lavava la biancheria intima della sua datrice di lavoro ed ex moglie). E infine in origine il ruolo di William Holden doveva essere ricoperto da Montgomery Clift, attore che viveva con una cantante che aveva più del doppio dei suoi anni.
L'asso nella manica del 1951. Un film che mi fece stare talmente male che non lo rivedrò mai più. Il giornalista Kirk Douglas in cerca di scoop trova un uomo prigioniero in una miniera. Per scrivere i suoi articoli in esclusiva prolunga la permanenza dell'uomo sotto terra finché questi muore. Non scorderò mai la scena in cui Douglas, preso dai rimorsi per la sua condotta, ingiunge di sloggiare alla fiera da luna-park sorta sulle disgrazie del prigioniero della miniera. Film bello e amaro, ne starò sempre alla larga. Ora verrebbero Stalag 17 e Sabrina, anni 53 e 54. Di Sabrina sappiamo tutto o quasi dato che si proietta ancor oggi. Forse non è un capolavoro, ma l’eleganza con cui Audrey Hepburn si muove sullo schermo vale da sola la visione del film. Mentre l’altro film è un racconto ambientato in un campo di prigionia nazista, una delle più belle pellicole in assoluto ambientate in quel contesto. C'è una spia tra i prigionieri americani, la si scoprirà solo dopo colpi di scena ed emozioni a ripetizione. Oscar a William Holden.
In questo articolo ci sarà solo il tempo di parlare dell'Appartamento, film del 60. Jack Lemmon è C. C. Baxter, impiegato che fa carriera prestando l’appartamento ai suoi superiori in vena di scappatelle matrimoniali. Si rifiuterà quando l'appartamento dovrà essere usato per sedurre la donna di cui è innamorato, l'ascensorista Shirley McLaine. Uno dei film in assoluto che mi piace di più di Wilder. Fantasticavo follemente sulla McLaine, ero ipnotizzato dai suoi capelli cortissimi e dal suo collo slanciato, da quella sua figura così moderna. La scena che più mi ha colpito? Quella in cui Jack Lemmon obbliga a camminare per il suo appartamento la sua amata ascensorista, vittima del tubetto di tranquillanti che lei ha ingerito per una delusione amorosa (c'entrava il solito Fred MacMurray, qui nella parte di un dirigente codardo e cinico, doveva essere abbonato a un certo tipo di ruoli). Splendido film. Romantico e graffiante.
Spassose le scene in cui i vicini di casa di Lemmon lo credono un casanova impenitente a causa delle baldorie amorose provenienti dal suo appartamento. Belle le battute con cui il dottore della porta accanto gli chiede di donare il suo corpo all'università in cui lavora (il dottore stima che Lemmon abbia una media di tre o quattro ragazze per notte, e si chiede da dove prenda tutte quelle energie il suo vicino di casa). Bello quasi tutto. Bello il punto in cui un Lemmon ubriaco e deluso rimorchia una prostituta ubriaca e delusa come lui, ma non può consumare il rapporto a causa dell'ennesimo dirigente aziendale che ha necessità di usare casa sua. Bello il modo con cui Lemmon si accolla la parte di impietoso sciupafemmine per difendere l'onorabilità della McLaine, bella la festa di fine anno e i vagabondaggi notturni del nostro eroe quando l'appartamento è occupato. E' uno dei film che più mi ha fatto sognare.
Qui devo chiudere, anche se i film del mio regista preferito non sono finiti. Ne parlerò in un’altra puntata.
Un nota introduttiva per riportare alla mente come venivano proiettati i film in tivvù parecchi anni fa. Dunque, ho già detto altrove della penuria assoluta di programmazione cinematografica nel palinsesto televisivo monopolista. Due o tre film a settimana quando andava bene, tra cui non più di uno realmente appassionante (e qui per film appassionanti si intendono pellicole alla Mezzogiorno di fuoco o alla Il mistero del falco). Inoltre, prima della sospirata visione dovevi sorbirti almeno un quarto d’ora di ciance pompose dette da un critico cinematografico rigorosamente in giacca e cravatta e gamba accavallata in poltrona mostrante calzino grigio classico e scarpa nera ugualmente classica. Gli indesiderati commentatori rispondevano ai nomi di Gianluigi Rondi, Claudio G. Fava e Callisto Cosulich e avevano la caratteristica comune di suscitare milioni di accorate suppliche al Creatore affinché si togliessero dai coglioni al più presto. Le suppliche non venivano mai esaudite. Ma le performance soporifere dei critici avevano almeno l’effetto di acuire in maniera inaudita il tuo desiderio (meglio, la tua bramosia) di cinema, di modo che quando lo spettacolo iniziava eri risoluto come non mai a recitare in prima persona accanto a gente come James Stewart o Katharine Hepburn. Forse molti di noi devono il grande amore che ancora oggi li lega al cinema alle migliaia di bestemmie che hanno mitragliato contro i saccenti critici della Rai.
Iniziamo in ordine cronologico. Il primo film che ricordo è Frutto probito del 42. Ginger Rogers (una volta tanto non balla), rimasta senza soldi, si traveste da minorenne, facendosi aiutare dal baldo ufficiale Ray Milland che chiaramente si innamora di lei. Non ricordo molto di questa storia, c'erano bei dialoghi e situazioni spumeggianti, però Ginger Rogers era una donna così matura e provocante che proprio non ci riusciva a passare per adolescente.
Il secondo film è un'opera mitica, La fiamma del peccato, 1944, una di quelle storie che mi facevano impazzire. Formidabile inizio con Fred MacMurray (qualcuno lo ricorderà, l'ufficiale fellone che ha paura di denunciare alla corte marziale Bogart in Gli ammutinati del Caine) colpito a morte che spiega la sua storia a un registratore. MacMurray è un assicuratore amante e complice in un delitto della dark lady Barbara Stanwyck. Edward G. Robinson (provate a dire, o quarantenni, che non sapete chi è) è un suo collega dalla diabolica intelligenza che lo smaschera. Atmosfere noir doc, sensualità a non finire (celebre il braccialetto che la Stanwyck indossava a una caviglia), forse mancava un po' di amore, per i miei gusti.
Giorni perduti del 45. La storia dell'alcolista Ray Milland. Film bellissimo e moderno, premiato con quattro Oscar, tra cui miglior film e regia. Visto di recente non sembra invecchiato di un giorno, consigliato vivamente a chi se l’è lasciato scappare. Scandalo internazionale, 1948. Nel 1946 una commissione del Parlamento americano arriva a Berlino per un'inchiesta sulla fraternizzazione tra americani vincitori e tedeschi sconfitti. Sferzante commedia in cui il cinico Billy Wilder se la ride alla grande del puritanesimo yankee alle prese con la Germania in rovina. La cosa più bella del film è il duetto tra l'ingenua Jean Arthur, moglie puritana di un senatore, e Marlene Dietrich, disincantata ex maggiorente del regime nazista che si industria con tutte le sue arti femminili per sopravvivere alla fame e alla rovina morale degli sconfitti. La Dietrich canta una delle sue roche e sensuali canzoni (“Black Market”) in un locale frequentato da truppe americane: donna magnifica.
Di Viale del tramonto, anno 1950, s’è detto tutto e il contrario di tutto. Film grandissimo e bellissimo come pochi. William Holden è uno sceneggiatore in difficoltà professionale. Accetta di rivedere un orribile copione che gli propone Gloria Swanson, vecchia diva del muto che sogna un clamoroso ritorno al successo. La diva proietta di continuo suoi vecchi film, i suoi ospiti sono mummie sopravvissute del muto (c’è anche Buster Keaton). Per un po’ Holden accetta l’ambiguo rapporto con la ricchissima e palesemente pazza diva (che implica anche la condizione di mantenuto della stessa). Infine cerca di lasciarla, ma la Swanson gli spara mentre sta andandosene. L’uomo cade nella piscina della villa, simbolo delle cose che aveva tanto desiderato. Posso ribadire

L'asso nella manica del 1951. Un film che mi fece stare talmente male che non lo rivedrò mai più. Il giornalista Kirk Douglas in cerca di scoop trova un uomo prigioniero in una miniera. Per scrivere i suoi articoli in esclusiva prolunga la permanenza dell'uomo sotto terra finché questi muore. Non scorderò mai la scena in cui Douglas, preso dai rimorsi per la sua condotta, ingiunge di sloggiare alla fiera da luna-park sorta sulle disgrazie del prigioniero della miniera. Film bello e amaro, ne starò sempre alla larga. Ora verrebbero Stalag 17 e Sabrina, anni 53 e 54. Di Sabrina sappiamo tutto o quasi dato che si proietta ancor oggi. Forse non è un capolavoro, ma l’eleganza con cui Audrey Hepburn si muove sullo schermo vale da sola la visione del film. Mentre l’altro film è un racconto ambientato in un campo di prigionia nazista, una delle più belle pellicole in assoluto ambientate in quel contesto. C'è una spia tra i prigionieri americani, la si scoprirà solo dopo colpi di scena ed emozioni a ripetizione. Oscar a William Holden.
In questo articolo ci sarà solo il tempo di parlare dell'Appartamento, film del 60. Jack Lemmon è C. C. Baxter, impiegato che fa carriera prestando l’appartamento ai suoi superiori in vena di scappatelle matrimoniali. Si rifiuterà quando l'appartamento dovrà essere usato per sedurre la donna di cui è innamorato, l'ascensorista Shirley McLaine. Uno dei film in assoluto che mi piace di più di Wilder. Fantasticavo follemente sulla McLaine, ero ipnotizzato dai suoi capelli cortissimi e dal suo collo slanciato, da quella sua figura così moderna. La scena che più mi ha colpito? Quella in cui Jack Lemmon obbliga a camminare per il suo appartamento la sua amata ascensorista, vittima del tubetto di tranquillanti che lei ha ingerito per una delusione amorosa (c'entrava il solito Fred MacMurray, qui nella parte di un dirigente codardo e cinico, doveva essere abbonato a un certo tipo di ruoli). Splendido film. Romantico e graffiante.
Spassose le scene in cui i vicini di casa di Lemmon lo credono un casanova impenitente a causa delle baldorie amorose provenienti dal suo appartamento. Belle le battute con cui il dottore della porta accanto gli chiede di donare il suo corpo all'università in cui lavora (il dottore stima che Lemmon abbia una media di tre o quattro ragazze per notte, e si chiede da dove prenda tutte quelle energie il suo vicino di casa). Bello quasi tutto. Bello il punto in cui un Lemmon ubriaco e deluso rimorchia una prostituta ubriaca e delusa come lui, ma non può consumare il rapporto a causa dell'ennesimo dirigente aziendale che ha necessità di usare casa sua. Bello il modo con cui Lemmon si accolla la parte di impietoso sciupafemmine per difendere l'onorabilità della McLaine, bella la festa di fine anno e i vagabondaggi notturni del nostro eroe quando l'appartamento è occupato. E' uno dei film che più mi ha fatto sognare.
Qui devo chiudere, anche se i film del mio regista preferito non sono finiti. Ne parlerò in un’altra puntata.
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