sabato 21 luglio 2007

Corvo Rosso non avrai il mio Scalpo


Parlerò di un film di grandi suggestioni, indimenticabile e perfettamente intonato al tema del post. “Corvo rosso non avrai il mio scalpo” (Jeremiah Johnson) del 1972 è uno dei western più belli di tutti i tempi e un film di assoluta qualità. Un dizionario del cinema il mio possesso lo inserisce tra i migliori film americani del secolo e parecchi critici considerano questo titolo il capolavoro del bravo regista Sydney Pollack (“I tre giorni del Condor”, “La mia Africa”) soprattutto a causa dell’atmosfera fiabesca che lo pervade. La sceneggiatura è opera del valente John Milius (“Un mercoledì da leoni”), il protagonista è un Robert Redford, insolitamente barbuto, almeno nella prima parte del film, e taciturno.

La trama. 1850, Jeremiah Johnson è un ex soldato che se ne va a vivere sulle Montagne Rocciose. Compra una moglie indiana (di cui però poi si innamorerà) e adotta un bambino orfano. Gli indiani gli uccidono la famiglia perché un gruppo di soldati a cui fa da guida lo costringe a passare per un cimitero sacro. E lui si vendicherà spietato.

Ho visto qualche scena di questo capolavoro cinematografico ieri sera. Ciò di cui mi preme parlare sono soprattutto i paesaggi di questa storia. C’è neve quanta ne vuoi, sulle Montagne Rocciose. E freddo come non si è visto quasi in nessun film. Ma pur essendo magnifici, i grandi scenari montuosi di questo film sono diversi da storie similari. Qui la natura è davvero selvaggia. Le montagne spoglie e disabitate. Potresti aggirarti per mesi in quelle brulle lande nevose senza incontrare un essere umano, se non qualche indiano che ti spia senza rendersi visibile in attesa di decidere se prenderti lo scalpo o no. Ciascun abitante dei monti (quasi tutti trapper) si tiene alla larga dagli altri, se non in casi eccezionali. Qui il tempo non ha alcuna importanza, né le normali incombenze della vita civile. Non sai che ora o che giorno siano e nemmeno ti interessa saperlo. A un certo punto Redford chiede a un vecchio trapper con cui ha fatto amicizia “In che mese siamo?” Quello si guarda intorno, annusa l’aria, riflette e quindi risponde (se ricordo bene): “A me sembra marzo, fa ancora troppo freddo per aprile”.

La natura di questo film parla. Recita. Ha una forza evocativa che ti conquista. Guardando il film ti senti piccolo, inadeguato di fronte allo spettacolo del Grande Nord. Soprattutto pensi che non hai bisogno di nessuno scopo per vivere in quei posti. Non devi cercare di realizzare questo o quello. Non devi guadagnare più soldi o ottenere uno scatto professionale, non devi conseguire risultati tangibili e una posizione sociale ammirata dai tuoi simili. Ti basta vivere, sulle Montagne Rocciose del film. Ti basta procurarti da mangiare e trovare un posto in cui dormire, ripararti dal freddo e dalla neve, ti basta tirare avanti fino a notte e poi fino alla notte successiva… questo è uno scopo esistenziale che ti appaga del tutto, senza lasciarti depressioni, insoddisfazioni, nevrosi da autorealizzazione, delusioni. Sulle montagne di “Corvo Rosso non avrai il mio scalpo” l’unico scopo della tua vita è vivere e basta, e sei contento e felice se ci riesci.

Chiuderò con una frase del vecchio trapper amico di Redford. Quando il nostro eroe gli chiede “Cosa ci fai qui?”, quello risponde semplicemente “Colleziono artigli d’orso”. Udendo queste parole non mi è passato per la testa nemmeno per un secondo che il vecchio trapper non avesse niente da fare e che fosse alla fin fine un fannullone nullafacente. Collezionare artigli d’orso e vivere mi è sembrato uno scopo esistenziale più che degno e appagante. Saluti a tutti.

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