sabato 21 luglio 2007
Peggy Sue si è sposata
Cinema erotico di Samperi

Doppiaggio classico

Il cinema catastrofico

Ti piace ballare?

The prestige

The departed

Syriana

Televisione indigesta

Getaway

Enrichetta ti amerò per sempre

Correva l’anno 1971 quando vedeva luce lo stupefacente film, piccolo e insuperato gioiello di eleganza, E’ ricca, la sposo, l’ammazzo, con Walther Matthau nel ruolo di Henry Graham e Elaine May in quelli di Enrichetta Lowell. Regia della stessa May, la quale è stata anche sceneggiatrice della pellicola.
Due parole su Matthau e sulla trama. In questo film Matthau è ai suoi apici interpretativi, scontroso e amorale, trasandato e orso, sempre in rotta di collisione con perbenismo e buoni sentimenti. E’ l’assoluto mattatore del film. Snocciola battute a ritmo forsennato, ben coadiuvato dai riusciti personaggi che lo assecondano, prima di tutto il meticoloso maggiordomo Harold, poi il ricco e rapace zio, l’avvocato corrotto di Enrichetta e tutta l’accidiosa servitù al completo della miliardaria pasticciona, tra cui spicca la volgare governante signora Traggert.
È importante ricordare anche il doppiaggio di questo film, che a mio modo di vedere ha ulteriormente migliorato la storia (i nostri doppiatori sono in alcuni casi dei mostri di recitazione). Gianrico Tedeschi presta la voce a Matthau conferendogli tutte le sfumature interpretative acquisite in anni passati a calcare scene teatrali. L’insuperato Ferruccio Amendola, padre di Claudio, doppia il corrotto avvocato McPherson; il mitico Carlo Romano, già doppiatore di Jerry Lewis e del detective fumettistico Nick Carter, si occupa dell’avido zio Harry. Colei che presta la voce alla candida Enrichetta, pur bravissima, è l’unico nome della compagine che non conoscevo, ossia Flaminia Jesolo.
La trama. Henry Graham, miliardario caduto in disgrazia, deve assolutamente sposare un’ereditiera per sfuggire ai creditori che lo accerchiano. La sua scelta cade sulla miliardaria pasticciona, esperta di botanica, Enrichetta Lowell. Henry progetta di uccidere al più presto la poco desiderata moglie in modo da ereditarne le sostanze e continuare la dispendiosa e farfallesca vita di sempre. Tuttavia alla fine ci ripensa lasciandosi soggiogare dall’amore.
Alcune tra le moltissime battute del film (me lo sono rivisto per appuntarmele). Vi consiglio di leggerle.
“E’ morto col patrimonio intatto?” Matthau rivolto a un suo amico miliardario, chiedendo informazioni sul padre di Enrichetta, mentre la suddetta, più maldestra che mai, versa tazze di tè su tappeti costosi.
“Madame, la sua ossessione erotica per questo tappeto è da compatire”. Il protagonista, versando la sua tazza di tè sul solito tappeto mentre la padrona di casa fa una ramanzina alla candida Enrichetta che già si è sbrodolata ben bene.
“Sono venuta con l’autobus”. L’ultra-ultra ricchissima protagonista, quando Matthau le dice che può mandare via la macchina (tutti si immaginano che viaggi almeno in Rolls Royce), dato che l’accompagnerà lui a casa.
“Buongiorno, signore, le rimangono esattamente sette giorni e nove ore prima dell’indigenza.” L’impagabile maggiordomo Harold al disperato Matthau che non trova moglie per sanare i suoi debiti.
“Il moscato extradolce della ditta Moghen di Malaga con soda e succo di arancio amaro.” Enrichetta descrive la sua bevanda preferita al disgustato pretendente (quel vino è una vera schifezza).

“Studiati il capitolo sulla classificazione degli esperimenti di Mendel.” Matthau al domestico Harold (ci sono pochi giorni per conquistare la ricca ereditiera e bisogna padroneggiare la sua sfera di interesse, che è la botanica).
“Enrichetta, la sola differenza tra noi è che io sono un uomo e tu una donna. E questa non dovrebbe essere una difficoltà se stiamo ragionevolmente attenti.” Matthau dovrebbe fare la dichiarazione d’amore, ma la lingua si rifiuta di assecondarlo.
La scena in cui il protagonista pulisce con un fazzoletto la bocca dell’imbranatissima partner prima di baciarla.
La scena in cui le risistema la camicia da notte alla greca la prima notte di nozze (Enrichetta aveva infilato la testa nel buco del braccio).
“La signora ha una servitù estremamente democratica.” Il maggiordomo Harold al suo datore di lavoro che chiede perché lo chauffeur della sua novella sposa non è venuto a prenderli all’aeroporto (si scoprirà poi che lo chauffeur si sta spupazzando una cameriera infingarda quanto lui).
“Se non sparisci da questa casa e dai terreni circostanti entro 45 minuti, io ti sparo in qualità di intruso con dimostrate intenzioni criminali.” Matthau allo chauffeur nullafacente e ladro. E’ in corso una festa in cui è presente anche il resto della servitù nullafacente e ladra della fin troppo permissiva Enrichetta. Il nuovo padrone di casa spara in aria un colpo di avvertimento.
“Mi sono preso io la libertà, signore.” Harold informa il suo principale che ha provveduto lui a tagliare il cartellino del prezzo dal nuovo abito di Enrichetta, fugando i di lui timori che la novella sposa se ne andasse in giro mostrando etichette varie sul vestiario (lo ha fatto varie volte nel film).
“L’ho chiamata Alsophila Grahamy.” La felce tropicale scoperta dalla maldestra ereditiera durante la sua luna di miele. E’ una specie mai catalogata e lei le ha dato il nome del marito.
“Henry, avrai sempre tutte queste attenzioni per me?” “Temo proprio di sì”. Matthau, tornando sulla sua decisione di affogare la novella moglie si è buttato nella corrente impetuosa del fiume e ha riportato Enrichetta a riva.
“Vieni, adesso è meglio tornare.” Ultima battuta. I due protagonisti si tengono per mano e si allontanano in un paesaggio naturalistico di rara bellezza. L’orso Matthau si è quasi trasformato in un tenero innamorato. Enrichetta, lungi dall’essere la bruttina descritta per tutto il film, col corpo bagnato d’acqua è bella e desiderabile.
Enrichetta ti amerò per sempre.
Ancora sull'"Esorcista"

Voglio dire una cosa su questo film. E' davvero pauroso, basterà dire che sono passati decenni dalla sua uscita e ancora spaventa (non molto tempo fa è stato riproposto in prima visione a causa del successo che ancora riscuote presso le nuove generazioni). Io credo che al di là di qualche effetto speciale datato e di qualche eccesso nella fase dell'esorcismo, sia un bel film, intendo dire proprio girato con efficacia, con personaggi di spessore psicologico, specie la figura di padre Karras (impagabile il volto triste dell'attore che lo interpretava). Stupenda la parte ambientata in Iraq, straordinariamente umano il poliziotto impersonato Lee J. Cobb, inaudita la presenza scenica di Max Von Sydow. Brava pure Ellen Burstyn, che ha vinto pure un premio Oscar, sia pure non per questo film.
Ci sono alcuni particolari del film che non hanno perso nemmeno un po’ di fascino nonostante il passare del tempo. Per esempio il doppiaggio dell’indemoniata, quella voce di basso che all’improvviso vomitava oscenità o che semplicemente si esprimeva con una personalità e maturità del tutto estranea all’adolescente Regan. O la colonna sonora di Mike Oldfield. O il doppiaggio italiano del film, che dà un precisa idea del modo di esprimersi dell’epoca. Stupende le parti in cui padre Karras parlava in greco con i familiari.
Ho letto pure il romanzo di William Peter Blatty da cui è stato tratto il film. Mi piacque tanto che lo lessi tre volte. Blatty aveva studiato come gesuita, credo, e conosceva perfettamente il mondo in cui si svolgeva la storia e lo descriveva benissimo (chiaramente nel romanzo ci sono situazioni e scene che non sono potute entrare nel film per brevità).
Ho visto l’ultimo film dell’Esorcista, quello sulle origini, e l’ho trovato scadentissimo. Ridicolo, una cazzata. Ultima di questo commento. Non mi spaventa nessun film di orrore. Mai. Posso sussultare come tutti quando nei film si usa qualche trucchetto sleale tipo gridare nell’orecchio di qualcuno all’improvviso.
Secondo me una delle più belle cose di questo film sono i caratteri psicologici dei due preti principali, padre Karras e padre Merrin (cioè quelli che sono sempre stati chiamati il pre3te giovane e il prete vecchio: in napoletano “ ‘prevete giovane e ‘o prevete vecchie”). Karras si trova a dover sostenere l’incontro con il Male nel momento peggiore di crisi religiosa. Ha dubbi. La sua fede è seriamente intaccata, forse vorrebbe lasciare l’abito talare. Come è possibile che Dio permetta tante ingiustizie, come è possibile che permetta la presenza di tanto dolore e povertà (“Padre, fate un’offerta per uno che un giorno serviva la messa”). O che faccia morire la madre sola e piangente. Karras è uno psicologo provetto, ha un approccio mentale tipico di uno scienziato e non di un prete, è moderno nella figura (ricordo che fece impressione il modo in cui divorava la pista di atletica mentre si allenava probabilmente per lenire il suo disagio esistenziale), fa pure pugilato. E’ una magnifica figura moderna, piena di sensi di colpa (si consuma nei sensi di colpa), senza certezze, soprattutto religiose. Quando l’attrice MacNeil gli propone di attuare un esorcismo sulla figlia, Karras è di gran lunga il più scettico dei due, è di gran lunga quello che crede meno (anche se l’attrice era un’agnostica senza alcuna educazione religiosa che si esprimeva preferibilmente usando termini come “cazzo” o “che cristo”).
Alla fine del film il tormentato Karras ritroverà fede e fiducia in sé e si sacrificherà per sconfiggere il male. Si è fatto tardi, alla prossima su padre Merrin e magari su qualche altro personaggio del film. :-)
Western con Robert Duvall

Visto il western di ieri con Robert Duvall (Duvall è stato Tom Hagen nel Padrino, cioè l'avvocato irlandese adottato da don Vito Corleone). Il titolo è “Broken Trail”. Non c'è niente da fare, quando tutto ti tradisce nel cinema, quando vedi cazzate su cazzate a due dimensioni, quando ti propinano schifezze moderniste piene di effetti speciali o di angosce metropolitane a un tanto al chilo, il western, quello fatto all'antica, come lo faceva John Ford, non ti delude.
Robert Duvall ha 76 anni e va a cavallo da Dio. E' assolutamente insuperabile quando, davanti a un bivacco nelle pianure de West conversa bonariamente alla sua maniera istruendo i giovani cow-boy sui misteri e sulla dolcezza delle donne o su altri aspetti del mondo, come se fosse un piccolo filosofo della prateria occasionalmente prestato al lavoro di mandriano.
L'esorcista, come si diventa uomini

Il film è ormai nelle sale italiane, ma ancora in prima visione, dunque in posti inaccessibili alle tue tasche. Inoltre è vietato ai minori di diciotto anni. E’ un problema, perché nei cinema di prima visione non farebbero mai entrare un quattordicenne come te, anche se ben piantato. Il discorso tuttavia potrebbe cambiare dal giorno alla notte quando la pellicola più spaventosa di tutti i tempi approderà nelle terze visioni di periferia, dove, lo sanno pure le pietre, darebbero libero accesso anche a un moccioso col lecca lecca a un film di Salvatore Samperi purché sganci la materia prima necessaria.
L’attesa è alimentata da voci incontrollate provenienti da ogni dove. Prima di tutto c’è il solito compagno di classe che giura sulla tomba della madre, ancora viva e vegeta, che lui L’esorcista l’ha già visto in prima visione. Ha sgraffignato un biglietto gratuito a quel faccendiere di suo padre e… ha visto l’inconcepibile. La classe al completo si riunisce accanto all’ammirato spettatore dell’orrore allo stato puro, anche se più di uno nutre dubbi sulle sue sparate. Cominciano le ragazze. E’ davvero un film così spaventoso? Di più, non andatelo a vedere se volete dormire la notte. E la scena del vomito verde o della testa che ruota sul collo? Tutto vero al cento per cento. Anche la pipì addosso? Ci potete giurare, ma questo è niente, c’è ben altro. Qui le fanciulle abbandonano il campo disgustate, ma i boys restano accampati sul posto avidi di particolari sul sangue sul crocifisso usato come fallo dalla ragazzina terribile. Seguono altre spiegazioni, ora più inclinanti sul filosofico che sullo scabroso, come l’accenno a un certo medaglione che compare alla fine del film il cui significato simbolico pare essenziale per comprendere la storia. O come le lodi alla colonna sonora, “Tubular bells” di Mike Oldfield, l’unico punto in cui gli ascoltatori si sentono alla pari con chi parla perché hanno sentito quel pezzo musicale alla Hit Parade radiofonica di Lelio Luttazzi.
Passa il tempo. Le voci sul film continuano a peggiorare. Si sprecano le battute sugli analisti che dovrai arricchire per superare i traumi psicologici successivi alla visione dell’Esorcista. Poi viene l’evento sconvolgente, quello che ti fa chiedere se valga la pena di rischiare la tua sanità mentale per vedere un film sia pure sulla bocca di tutti. Tuo fratello più grande, un essere impavido capace di attaccare briga con brutti ceffi grossi il doppio di lui… si comporta d’un tratto in modo inspiegabile. La sera precedente non riusciva a prendere sonno, lui che di solito mette la testa sul cuscino e saluta il mondo. Non solo non dormiva, ma sembrava aver paura di qualcosa. Sì, che strano. Per una volta ha rinunciato a trattarti da postlattante o a darsi arie da grand’uomo che ascolta i Led Zeppelin ed è a un passo dal combattere la Rivoluzione sulle barricate. Il giorno dopo vieni a sapere, da tua madre, che tuo fratello ha visto L’esorcista . Ci è andato con la sua comitiva di balordi soprattutto per fare casino e disturbare la visione agli altri. Ma una volta sedutosi nelle prime file del cinema quasi pieno, a lui e agli amici balordi è passata ogni voglia di ridere. Tua madre non lo dice, ma pare proprio la storia di quelli che andarono per suonare e furono suonati.
E’ venuto il momento ormai più temuto che atteso. L’esorcista, il più agghiacciante film di tutti i tempi è arrivato al cinema del tuo quartiere. Hai paura di andarci, ma ormai è una prova di coraggio a cui non puoi rinunciare se vuoi continuare a chiamarti uomo. I problemi come al solito non vengono mai da soli. Tutti i tuoi non molti amici giurano che hanno già visto il film o che hanno da fare. Prendi la risoluzione finale. Vai al cinema da solo. Sembra pura temerarietà, ma potresti avere un vantaggio su tuo fratello e gli altri sinistrati dal film. Hai già sentito parlare di quella storia in lungo e in largo, questo forse ti aiuterà ad avere meno paura.
Le sei di sera. Do i soldi alla cassiera del cinema. Quella afferra la grana e non si sogna nemmeno di dirmi che non ho l’età per entrare. Il cinema è pieno. Confusione da non dire, una baraonda. Fumo di sigaretta a gogò. Aria attraversata da ogni genere di battuta triviale. Ottimo, si dice un certo ragazzino che ancora non ha smesso di tremare. Quello è l’ambiente adatto per non farti sentire paura. Via le luci, inizia il film. La cosa brutta è che a un tratto nessuno parla più. Per fortuna quando la scena si sposta in dall’Iraq alla casa americana dell’attrice Chris MacNeil il frastuono aumenta. Aumentano pure imprecazioni in dialetto e risate scomposte. Bene così, mi dico, tutta quella caciara è pura manna dal cielo. La baraonda è molto benaccetta sia nella scena dei topi in soffitta, sia in quella della scritta “help me” incisa sulla pelle della sventurata dodicenne Regan, sia soprattutto in quella dei mobili che si spostano da soli nella camera o, infine, nella parte dell’indemoniata che vomita oscenità infilandosi il crocefisso proprio lì dove aveva detto il compagno di classe fanfarone.
Rido anch’io con gli altri. Sono contento perché finora non si è verificato l’atteso tracollo psichico. Reggo bene l’interrogatorio sotto ipnosi dell’indemoniata e riesco perfino a sentirmi un piccolo eroe nella famigerata fase del vomito. Ma al momento dell’esorcismo l’atmosfera si fa tetra. Nessuno ride più. Poche le voci in sala e molto il fumo di sigaretta che ti aggredisce ogni poro epidermico scortato dalle bestemmie immonde del demonio. Sconfitto Karras con un trucco psicologico, il Maligno uccide padre Merrin. Qui ho paura. Che alla fine vinca il Male? mi chiedo nel silenzio irreale della sala. Niente affatto. Karras – ribattezzato “il prete giovane” a furor di popolo - torna nella stanza dell’invasata. Quando il demonio lascia il corpo della giovane Regan per entrare nel suo, si getta dalla finestra uccidendo se stesso, ma sconfiggendo il Male.
Il film è finito. Partono colonna sonora e titoli di coda. E’ tempo di andare. Ho ancora i capelli elettrizzati per le ultime scene e c’è un brivido gelido che non ne vuole sapere di lasciare la mia schiena. Eppure sono contento. Ho visto il peggiore incubo a due dimensioni di tutti i tempi, l’ho visto andando a cinema da solo e ho ancora la forza di camminare per le strade scure del mio quartiere. Non sono impazzito, anche se la prova delle prove, lo so, verrà stanotte, nel mio letto buio. In ogni modo so già che, magari con qualche difficoltà maggiore del solito, dormirò. Lo so.
Fuori dal cinema vorrei quasi fischiettare: forse oggi sono diventato un uomo.
Mare tra narrativa e cinema

Prima la narrativa. Ovviamente "Moby dick", che è un vero e proprio poema marino. Sicuramente il romanzo in cui il mare è il più vivo e credibile protagonista. A me comunque rimase impresso molto il mare procelloso di Salgari, forse perché quando leggevo i romanzi del nostro maestro dell'avventura mi trovavo in una fase della vita più ricettiva. Ricordo nitidamente il Corsaro Nero, accigliato, illuminato dalla tetra luce dei lampi caraibici, sferzato dalla furia del vento, aggredito dall'abbraccio mortale delle onde mugghianti, ammirato da ogni singolo uomo della sua ciurma e perfino dalla figlia del suo odiato nemico Wan Gould, Honorata, mentre con sommo sprezzo del pericolo tiene ferma la barra del timone della "Folgore", quasi sfidando la furia degli elementi a ucciderlo, perchè in quel caso il destino gli avrebbe fatto solo un piacere. Il mare in letteratura è per me il Corsaro Nero al timone della "Folgore" in una notte di tempesta. Se avrà tempo parlerò pure del mio mare nel cinema.
In morte di Glenn Ford

Dolore, dolore immenso per la morte di Glenn Ford.I personaggi del nostra vita se ne vanno. Loro muoiono e moriamo anche noi.Mi sono andato a rivedere la filmografia di questo grande attore che vivrà per sempre nelle nostre cellule cerebrali. E' incredibile il numero di titoli cinematografici che hanno accompagnato la mia esistenza e credo non solo la mia. A differenza di ciò che dicono i telegiornali io non lo ricordo per "Gilda". Quello mi è sempre parso il film di Rita Hayworth e non il suo. Lo ricordo con piacere in un gran numero di western. "Quel treno per Yuma", uno dei più grandi western di tutti i tempi, "La legge del più forte" con Shirley McLayne (Ford è un coraggioso allevatore di pecore che lotta contro la prepotenza dei grandi mandriani). Lo stupefacente "Cowboy" con un altrettanto stupefacente Jack Lemmon (Lemmon è un portiere d'albergo che diventa socio mandriano di Ford contro la volontà di questi). Il western che però mi è rimasto più impresso è "La pistola nascosta": il nostro eroe è stato il più veloce pistolero del West però trasformatosi in un tranquillo droghiere che odia le armi. Dovrà tornare a battersi contro la sua volontà.
Nel resto della sua filmografia spicca "Il seme della violenza" con un giovane Sidney Poitier, film che è la madre di tutte le storie di scuole con ragazzi difficili. Ottimo nel "Ricatto più vile" (è un'industriale a cui rapiscono il figlioletto), piacevole in "Una fidanzata per papà), commedia in cui un giovanissimo Richie Cunningham deve trovare una fidanzata al padre... Questi sono solo alcuni dei filn di questo attore straordinario, ma soprattutto personaggio unico che ha accompagnato la nostra giovinezza. Spaziava su tutti i generi cinematografici. Forse non era troppo appariscente nella recitazione, ma risultava estremamente efficace nella sua resa interpretativa. In questo momento rammento con perfezione assoluta la voce italiana che lo doppiava (indimenticabile come quella di tutit i doppiatori d'epoca). Vaja con Dios, Glenn. Sei qui dentro con tanti altri. Oggi moriamo anche noi un po’ con te.
La freccia nera fischiando si scaglia

Sono le parole di una delle sigle televisive più amate e cantate di tutti i tempi, almeno in questo paese. All’epoca la stragrande maggioranza della popolazione italiana, comprese anziane ultraottantenni con almeno due infarti alle spalle e mocciosi piagnucolosi che a stento dicono mamma, sapevano citare almeno un verso di quel trascinante motivo. Io conoscevo tutta la canzone da cima a fondo, inclusi i fischi e l’epico “la-la-la” del coro dei briganti della foresta, e non ero per niente un caso raro in quell’Italia che fu, l’anno dello sbarco sulla luna e dello sceneggiato televisivo che ha riscosso il maggior indice di ascolto di tutti i tempi in queste contrade, sedici milioni e mezzo di telespettatori di media (altro che Elisa di Rivombrosa).
Due parole sulla storia. Regia del mitico Anton Giulio Majano, autore di opere mai dimenticate come “La cittadella” o “Delitto e castigo”. Il giovane Dick Shelton (l’attore Aldo Reggiani) è dibattuto fra le avverse fazioni degli York e dei Lancaster al tempo della Guerra delle Due Rose in Inghilterra. La bella e ribelle Joan Sedley (Loretta Goggi), si traveste da uomo per sfuggire a un matrimonio non voluto. Battaglie, tradimenti, eroismi, passaggi segreti, intrighi e briganti della foresta fautori della lotta alla tirannia.
Quando si parla della “Freccia nera”, ci sono molte cose che sei obbligato a dire. E le devi dire nell’ordine che segue.
Devi confessare che all’epoca eri innamorato follemente di Loretta Goggi (amore che continua tuttora quando la rivedi in televisione), anche se tutti ti consideravano un poppante a cui regalare odiose caramelle alla fragola. In questo tuo delicato sentimento eri in buona compagnia, perché qualsiasi individuo maschile dotato di raziocinio non poteva evitare di sognare di trovarsi in compagnia della Joan Sedley travestita da maschio (e di difenderla dai molti pericoli di cui abbondava la tumultuosa Inghilterra del Quattrocento). Inoltre ritagliavi le immagini della dolce Loretta diciassettenne da qualsivoglia giornale e rivista di gossip alla “Grand Hotel” e sognavi di cavalcare con lei in tenebrose foreste medievali, anche se l’unica volta che avevi visto un cavallo dal vero ti aveva fatto una paura mica da ridere.
Seconda riflessione obbligata: il tuo desiderio spasmodico di impugnare una spada vera e enorme con queste mani vibranti di emozione. La spada vera e enorme serviva per essere brandita in groppa a un destriero nella tua mente, sotto un’armatura di cotta di maglia, con tanto di stendardo di York o Lancaster (pur avendo seguìto lo sceneggiato con devozione e chiesto lumi agli adulti, non riuscivi mai a capire quale fosse la Rosa dei buoni, se quella rossa o quella nera, ma tanto non aveva importanza). Il desiderio di menare fendenti o stoccate ai malvagi diventava necessità insopprimibile quando assistevi alla sigla iniziale dello sceneggiato, da non confondersi con la canzone finale dei Fratelli della Foresta. La sigla iniziale era un travolgente motivo epico composto dal valoroso maestro Riz Ortolani, accompagnato da scene di cavalieri medievali che si affrontavano a viso aperto tra castelli in fiamme e sfondi di devastazione bellica. Peraltro il motivo di Ortolani a un tratto deviava magistralmente dal registro epico-guerresco a quello romantico, inducendoti senza indugio a rinfoderare spade e sogni di gloria e a cercare con gli occhi una figura femminile capace di farti palpitare il cuore.
Poiché la possibilità di procurarti una vera lama medievale era piuttosto remota per te ragazzino in calzoncini corti di un’Italia lontana, eri costretto a ripiegare su una spada di legno, costruita con amore e soprattutto con l'aiuto dei tuoi amichetti più portati ai lavori manuali. Ovviamente i tuoi amici avevano già una spada analoga, ben più solida della tua, forgiata con robuste assi di legno sottratte ai padri falegnami, piallata e rifinita con cura, ed erano ansiosi di affrontarti in un duello all’ultimo sangue. Tale duello era preceduto da almeno mezz’ora di dispute su chi avrebbe dovuto interpretare la parte dell'ammirato Dick Shelton (il perdente della disputa, in genere era quello con l’arma migliore che si sentiva in vena di magnanimità verso i disgraziati forniti di mazze di scopa semibruciate, ripiegava sulla figura del collaudato Ivanhoe).
La terza e ultima considerazione a cui sei costretto parlando della “Freccia nera” televisiva (ce ne sono da fare altre, ma quelle almeno sono frutto di una tua libera scelta) è la inaudita, impressionante bravura dei Cattivi di quello sceneggiato. A memoria d’uomo non si è mai vista una storia televisiva con cattivi tanto ispirati e convincenti. Prima di tutto c’e Arnoldo Foà nella parte di Daniel Brackley, signorotto inglese pronto a tradire e a uccidere chiunque per sete di potere (“vende” in matrimonio anche la povera Loretta Goggi). Foà ha tra l’altro fatto uccidere il padre di Aldo Reggiani, che ignaro del delitto gli è fedele servitore. Che dire del machiavellico Arnoldo? Magistrale. Indimenticabili i suoi ghigni, soprattutto unici i suoi inarcamenti di sopracciglia e quelle sue mimiche facciali così convincenti da farti credere che la malvagità era una componente naturale della vita. Foà recitò così bene la parte del cattivo da essere odiato da una generazione di telespettatori quasi come certi “fetienti” della sceneggiata napoletana.
Eppure anche il bravissimo Arnoldo trovò dei competitori agguerriti nel suo stesso cast. Prima di tutto Adalberto Maria Merli nel ruolo del sanguinario e gobbo duca di Gloucester(Rosa Rossa o Rosa Nera? Boh, vattelo a ricordare). Merli esibiva un sguardo diabolico perfino superiore a quello di Foà e uccideva, a differenza del personaggio di Daniel Brackley, per il semplice gusto di farlo (impressionante il modo in cui trafigge a sangue freddo alcuni nemici ormai vinti e imploranti grazia).
Non c’è due senza tre, ecco ancora un valente attore nella fazione dei cattivi, ossia il caratterista Alberto Terrani nel ruolo di Lord Shoreby, l’ultimo pretendente di Loretta-Joan, il quale dà un’interpretazione della cattiveria più tendente al frivolo e alla mondanità che alla crudeltà pura e semplice. Basta così? No, c’è posto anche per Tino Bianchi (sir Olivier, vescovo corrotto) e Leonardo Severini (Bennet Hatch), ossia i complici delle malefatte giovanili del terribile Foà, che a differenza di quest’ultimo sono dilaniati dai sensi di colpa (all’epoca questa sfumatura psicologica era parecchio dura da mandare giù: uno o è cattivo o non lo è, si diceva un certo ragazzino mangiatore di caramelle, e se lo è come fa a provare rimorso per le sue malefatte?)
La freccia nera moderna in tv

Ne dico una di passaggio fuori argomento. Stasera volevo vedermi la prima puntata della "Freccia nera" data in tivvù. Mi spingeva il ricordo dello splendido e mitico sceneggiato trasmesso dalla Rai alla fine degli anni Sessanta (che annoverava grandissimi interpreti del calibro di Arnoldo Foà diretti dalla mano esperta di Anton Giulio Majano). Un giorno devo assolutamente scrivere un post su questo magnifico sceneggiato televisivo e della formidabile sigla musicale ("La freccia nera fischiando si scaglia...") che ha fulminato un'intera generazione italiana.
Dunque vado per guardare la prima puntata e noto il protagonista, tal Scamarcio, che si rivolge al padre con un sottofondo di accento romanesco che parrebbe più adatto a inveire a li mortacci nostri che a recitare Stevenson. Vabbé, mi dico, un semplice caso, non sottilizziamo troppo. Nella seconda scena si vede un'amazzone a cavallo (poco prima l'attrice che impersona il personaggio era stata intervistata a "Striscia la notizia" dimostrando un quoziente intellettivo degno di una velina) che tende l'arco e galoppando a briglia sciolta scocca una freccia... che trafigge una mela posta su un palo a un centinaio di metri di distanza.
Bacio al cinema

Ancora sul bacio e sul cinema classico. Chissà se tu da ragazzina reagivi come me guardando in compagnia, specie di estranei o di amichetti sfacciati, i film in tivvù. Io ero un ragazzino timido. Quando veniva il momento del bacio nei film mi agitavo sulla sedia, mi facevo rosso, avrei voluto sparire. Avrei voluto guardare altrove, ma sapevo che così facendo avrei attirato l’attenzione e allora seguivo tutta la scena sentendomi avvampare. Rammento che il momento peggiore era quello che precedeva il bacio, circostanza in cui cercavo di mostrarmi disinvolto per evitare di essere bersagliato da battute sul mio evidente disagio. Naturalmente se vedevo il film da solo o in compagnia di persone fidate, godevo del bacio e fantasticavo di essere io il fortunato sullo schermo.
Il ballo nel cinema

Eccomi al commento sul cinema ballato. Non ho voglia di fare ricerche su Google quindi mi baserò unicamente sui miei ricordi. E’ incredibile che per gran parte della mia vita io abbia considerato il ballo con sufficienza (probabilmente ciò è dovuto all’apologo della volpe e dell’uva), quando i film musicali mi hanno sempre appassionato (insieme ad altri numerosi generi cinematografici, a dire il vero). Il mio discorso non può non partire da Fred Astaire, cioè da colui che è considerato a ragione il più elegante ballerino mai apparso sullo schermo. Di Astaire ricordo il tip tap e i duetti indimenticabili con Ginger Rogers, la quale a dire il vero sembrava sempre un passo indietro al Nostro. Lo collego senza alcun dubbio alla canzone “Cheek to cheek”, probabilmente il suo apice interpretativo nella canzone e nella danza. Astaire, dopo un periodo di diminuita fortuna, fu rilanciato in grande stile negli anni Cinquanta, per lo più in coppia con l’elegante Cyd Charisse. In questa sua seconda fase artistica interpretò film di maggiore spessore artistico (tra i suoi registi ci fu pure Vincente Minnelli), rivoluzionando il suo stile di danza per adattarlo ai cambiamenti di gusto. Peraltro i critici sono unanimi nel considerare Cyd Charisse una danzatrice superiore a Ginger Rogers… Tuttavia a me come ad altri il periodo d’oro di Fred Astaire è sempre parso quello dorato degli anni Trenta e del tip tap. Film indimenticabile di questa seconda fase artistica “Papà Gambalunga” con Leslie Caron (di recente ne hanno fatto pure un cartone animato con immancabile sigla di Cristina D’Aveva).
Legati agli anni Cinquanta, ci sono almeno un altro ballerino e un film indimenticabile. Il ballerino è Gene Kelly, considerato da sempre il solo vero rivale di Astaire sullo schermo. Tuttavia a me Kelly, anche si avvaleva di un tipo di danza più sofisticato e atletico e anche se i suoi film in genere avevano un livello qualitativo superiore rispetto a quelli del grande Fred, non mi è mai piaciuto troppo. Indimenticabile, si sa, la scena di “Ballando sotto la pioggia”. “Sette spose per sette fratelli” a mio modo di vedere è il più bel musical basato sul ballo che sia stato mai prodotto. Ricordo che da piccolo ne vedevo degli spezzoni, ma la televisione per motivi rimastimi ancora oscuri non lo dava mai (credo c’entrassero i diritti cinematografici). Questo film subì lo stesso ritardo nella programmazione televisiva di un altro classico, ossia “La finestra sul cortile” di Hitchcock… e quando finalmente li vidi entrambi fui immensamente soddisfatto dalla loro qualità. Considero “Sette spose per sette fratelli” un’opera perfetta nel suo genere.
Facciamo ora un balzo agli Settanta, anche se ho scordato sicuramente un mucchio di film precedenti (“West side story” non l’ho scordato, è solo che questa pur pluripremiata pellicola non mi ha mai ispirato). Qui abbiamo diversi film diventati classici “Jesus Christ Superstar” (splendide coreografie moderne e suggestiva ambientazione nel deserto israeliano, non si può non citare la canzone di Maria Maddalena, anche se ha poco a che fare con il ballo “I don’t know how to love him”). “Hair”, le coreografie migliori durante la canzone “Acquarius” o nella stessa “Hair”, ma anche nel brano in cui gli hippy saltano sul tavolo della festa di matrimonio o fidanzamento, ora non ricordo bene. “Grease”, per me è indimenticabile tutta la parte del ballo della scuola, specie quando i ragazzi si scaldano, con magnifiche canzoni d’epoca, prima della gara vera e propria. La canzone che più mi piace di questo musical (mi fa sognare sempre come se l’ascoltassi per la prima volta) è “There are worse things I could do” cantata da Betty Rizzo, leader delle Pink Ladies, quando pensa di essere incinta. Dato che il commento è ancora lungi dall’essere finito lo completo nel prossimo passaggio. Saludos por todos.
Eroe per sette minuti e mezzo

Ora però abbiamo un problema grosso come una casa. La musica trascinante continua a echeggiare, i violini della colonna sonora ti parlano, ti blandiscono, ti esaltano. Non si può rimanere con le mani in mano mentre si ascolta una simile musica, devi fare qualcosa di eroico. Però sei fortunato. Magua, il vendicativo e sanguinario indiano autore di imprese scellerate, si è da poco allontanato dal villaggio urone con Alice, la sorella della tua amata. Non c’è nemmeno da pensare cosa fare, con una musica così. Prima di tutto spari al coraggioso maggiore inglese offertosi come vittima sacrificale, per risparmiargli l’agonia al palo della tortura. Quindi inizia la tua corsa, che ti fa arrampicare per sentieri scoscesi in mezzo a boschi cupi e purissimi. Accanto a te Cora, davanti tuo fratello acquisito Uncas e tuo padre adottivo Chingachgook
Certo, devi fare l’eroe, però seguendo la musica. La musica in questa storia è tutto, specie in questi straordinari sette minuti e mezzo. La colonna sonora ordina e tu obbedisci. Violini e percussioni ti dicono cosa fare e tu lo fai. Dopo due minuti la musica cambia, tornando al tema principale del film, meno tambureggiante, più epico. Hai il tempo di guardarti intorno per ammirare la bellezza dei paesaggi. Guardi le valli e i dirupi, l’acqua tersa di un ruscello e le scarpate che ti tolgono il fiato, il verde unico degli alberi e il cielo del Grande Nord. Tuttavia ecco il rientro in grande stile della ballata pseudoirlandese: bisogna riprendere l’inseguimento del gruppo urone. Uncas uccide alcuni indiani e affronta il vendicativo capo urone (Magua vuole uccidere Alice e Cora per vendicarsi del loro padre, il colonnello inglese Munro). Magua comunque è un brutto cliente. Anche la colonna sonora sembra capirlo, poiché si fa funerea, rallenta per tutto il tempo necessario a Magua per uccidere Uncas e ad Alice per gettarsi disperata da un dirupo. Ancora qualche secondo di ritmi bassi per valorizzare la natura grandiosa in cui si svolge questa scena e per percepire il muto dolore di Chingachgook e Cora. Poi ecco i violini riprendere a martellare. Sono passati ben sei minuti, dall’inizio della musica che guida i tuoi slanci ardimentosi. Ne resta solo uno e mezzo per compiere l’atto eroico reclamato dalla situazione. Novanta secondi sono pochi, ma possono bastare per farti correre, con ampie falcate e totale sprezzo del pericolo, imbracciando due fucili i cui colpi freddano altrettanti uroni. Con un fucile sottratto a un indiano, tieni sotto mira i rimanenti accoliti di Magua, mentre Chingachgook affronta l’assassino del figlio nel duello finale e lo uccide. E’ finita. Magua ha esalato l’ultimo respiro in primo piano. La musica trascinante si è spenta.
Però c’è una coda, per te spettatore ed eroe per oltre sette minuti. Ancora per qualche secondo percepisci al tuo fianco una donna affascinante come Cora. Ancora per qualche secondo sei parte dei più splendidi paesaggi creati su questa terra. Ancora per qualche secondo sei felice.
Oggi pomeriggio mi preparavo il caffè quando il televisore ha intonato una melodia che non manca di farmi vibrare l’anima. Per l’ennesima volta ho ripreso il dvd dell’Ultimo dei Mohicani e mi sono rivisto i famigerati sette minuti e mezzo che mi fanno battere il cuore.
Totò era un genio

Totò è un genio della risata e del cinema. Nego nella maniera più assoluta che i suoi film siano inguardabili, alcuni anzi sono degli autentici gioielli o gioellinini (rivedrei e rivedo di continuo film come "Miseria e nobiltà" e trovo impagabile la partecipazione del principe della risata nei "Soliti ignoti"... la battuta del Fu Cimin è epocale). La particolarità dei film di Totò peraltro è quella di migliorare con gli anni, come il buon vino, e questo è un miracolo cinematografico da cui spesso sono esclusi perfino film pluripremiati e pluriosannati dalla critica).
L'ultimo dei Moicani

Dato che sono un'inguaribile romantico "L'ultimo dei Moicani” mi è piaciuto molto. Madeleine Stowe (la maggiore delle figlie del colonello Monroe) è stata per alcuni anni al centro delle mie fantasie. Trovavo del tutto irresistibile quel suo sguardo reso indimenticabile da un lieve strabismo di Venere. Ora ricordo anche il nome del personaggio, Cora. Che nome evocativo e dolce. Efficace nella parte dell’indiano-bianco lo scattante Day-Lewis, ben coadiuvato dai parenti indiani acquisiti Uncas (ucciso dal truce Magua) e Cingachgook (che sollievo quando nel finale fa a pezzi il cattivissimo e vendicativo Urone, e cioè il bravo attore Wes Studi, noto per accettare solo parti di pellerossa).
Che dire di quel film? Amore, amore, amore. Ce n'è di questo sentimento a più non posso (anche troppo per certi palati che non gradiscono i sapori dolci). Accompagnato da robuste dosi di avventura. La sceneggiatura funziona anche perché ispirata a quella di un valido film degli anni 30 sullo stesso argomento.
Tre cose. Uno, i personaggi riescono a essere credibili, come raramente succede nei film moderni. Non si cede nemmeno un palmo alla grossolana semplificazione di certi recenti film in costume che sembrano appartenere più al videogioco che al cinema (“La maledizione della prima luna”). I rapporti interpersonali sono guidati da una giusta dose di formalismo. Però i punti davvero di forza del film sono il due e il tre. Ossia i paesaggi di immane bellezza che fanno da sfondo alle vicende raccontate. Le foreste incontaminate del grande nord, le montagne brumose, il sottobosco pregno di pericoli, le fresche cascate con l’acqua pura come quella esistente ai primordi della vita. Davvero non ricordo di aver mai visto in nessun film paesaggi stupendi e grandiosi come quelli dell’”Ultimo dei Mohicani”, forse solo in qualche passaggio del “Signore degli Anelli”, ma nemmeno in quest’ultima storia i burroni, le distese erbose, i greti dei fiumi erano di tale livello.
A chiudere, l’efficacia unica della colonna sonora. Il tema principale è quello che è. Chi lo ha sentito una volta non credo che lo potrà mai scordare. Eppure il punto in cui io rimasi letteralmente ipnotizzato è quando Day-Lewis e i suoi compagni indiani inseguono Magua e il suo gruppo per i sentieri scoscesi, accompagnati da un trascinante motivo di sapore irlandese, una specie di ballata popolare fatta a suon di violino che si protrae per ben sette minuti indimenticabili. Delle volte prendo il dvd del film e guardo solo quei sette minuti di inseguimento condito dalla ballata irlandese (o quello che è) di sottofondo.
Gag di "Luci della città"

Avevo in sospeso un commento sulle gag del chapliniano “Luci della città”. Colmo quindi la lacuna. Inizio del film, inaugurazione di un monumento. Importanti personalità tromboneggiano in piazza. Nonostante l’assenza di parola si capisce che sindaco e notabili cianciano di gloria, libertà, alti ideali, virtù eroiche e bla bla bla. Si toglie il velo dal monumento e Charlot, più straccione e trasgressivo che mai, rovina la festa con la sua presenza (dormiva stravaccato sul monumento). Quindi peggiora la situazione facendosi infilzare i fondelli cenciosi nella spada protesa di uno dei personaggi marmorei, provocando crisi isteriche nei pomposi pezzi grossi riuniti in piazza. Chaplin osserva le procaci nudità di una statua in vetrina, dandosi arie da esteta lontano dalle bassezze della carne, ma la sua insuperabile mimica fa capire che qualche bassezza è rimasta. Arretrando per ammirare la statua con occhio all’apparenza raffinato, è sempre sull’orlo di un tombino che si apre alle sue spalle.
Come ricordato nel post, prende in prestito la lussuosa automobile di un miliardario (che lo tratta da amico quando è ubriaco e perde del tutto la memoria da sobrio) per recuperare cicche di sigaretta dalla strada. Ultima delle molte gag del film, una scena che è stata ripresa tale e quale in uno dei primi film di Rocky, credo il secondo. Durante l’incontro di boxe che Charlot affronta per procurarsi i soldi per la fioraia cieca di cui è innamorato, sia lui che il suo avversario vanno al tappeto. La particolarità è che quando uno dei pugili si rialza durante il conteggio dell’arbitro l’altro va giù. Uno sale e l’altro scende. Infine sarà Chaplin a non rialzarsi..
Infine impagabile l’ultimo sguardo del Nostro prima della parola fine. La fioraia ha riacquistato la vista con i soldi datigli dal suo benefattore, andato in prigione per procurarseli. Incontra Charlot e chiaramente lo deride e lo tratta come un poveraccio a cui fare la carità. Però a un certo punto, con il tatto, la ragazza capisce finalmente con chi ha a che fare (per tutto il tempo della sua cecità aveva pensato di avere a che fare con un miliardario e Chaplin chiaramente l’aveva lasciata nell’equivoco). Chaplin guarda nella cinepresa con un misto di timore e speranza: sarà accettato o no, nella sua veste straccionesca, dalla sua ormai cambiata innamorata? Nessuno spettatore, e io men che mai, ha dubbi sul fatto che l’amore vinca, ma resta il fatto il film ha un finale aperto.
Gag della "Febbre dell'oro"

E' il momento di segnalare alcune memorabili gag chapliniane dei due film che ho citato.Iniziamo dalla “Febbre dell'oro”. All'inizio i due compagni di capanna di Charlot lottano cercando di strapparsi di mano un fucile carico, la canna del quale ha la particolarità di puntare sempre verso il del tutto neutrale Vagabondo, per quanti tentativi egli faccia per sottrarsi alla minaccia dell'arma.Appena si apre la porta della casa, una violenta tormenta si abbatte all'interno rendendo impossibile non solo avanzare, ma anche mantenere la propria posizione.
C'è poi la già ricordata gag della scarpa da mangiare lessa. Se la mangia tutta Big Jim, il grosso compagno di Charlot, che a un certo punto, accecato dalla fame cerca di divorare il malcapitato socio di avventure. In questo frangente Charlie tratta i lacci della scarpa come se fossero prelibati spaghetti. Ancora qualche sketch, per esempio quello ripreso spesso da Franco Franchi, e cioè quando Charlot, intirizzito e indurito dal freddo diventa una specie di palo rigido difficile da sollevare. Poi, la ricordata danza con i panini, in cui Chaplin mima le gambe di un elegante ballerino utilizzando due forchette infilzati in panini. Una delle scene più suggestive di tutti i tempi. La casa in bilico sul burrone, dove sia Chaplin che Big Jim, pur muovendosi spesso, finiscono sempre per trovarsi ai lati opposti dell'abitazione, mantenendo quindi l'innaturale equilibrio della casa sul precipizio.
Non è una gag, ma è di grande effetto la scena dell'ultimo giorno dell'anno in cui un solitario Vagabondo spia, al freddo e alle intemperie, le luci e l'allegria della festa che si tiene all'interno di un saloon (in cui è presente anche la fin troppo disinvolta ragazza di cui è innamorato, che chiaramente se la spassa con un altro). Comicissima la scena in cui Charlot balla con Giorgia, ma è ostacolato da un grosso cane legato a sua insaputa alla sua cintura. Ultima di questo film, anche se la “Febbre dell’oro” è una miniera di gag. Il nostro eroe, ormai diventato ricco con l’oro del Klondike, è in viaggio su una nave vestito lussuosamente, ma i suoi antichi riflessi condizionati lo spingono a raccattare una cicca di sigaretta e a conservarla.