venerdì 28 settembre 2007

Eran Trecento

300 è un film sul sacrificio degli spartani alle Termopili che ho visto con piacere. Il film è composto per un sessanta per cento di moderni fumetti dark (è tratto da un fumetto di Frank Miller, disegnatore di un Batman molto crepuscolare), di un venti per cento di teatro declamatorio alla giovane Gassman e del restante venti di videogioco grandguignolesco misto a musica rock. Ci sono battaglie quasi ininterrotte, pettorali e bicipiti maschili quasi di certo ritoccati al computer perché pure il più mingherlino degli attori ha un fisico statuario, intrighi, eroismo da “Siam pronti alla morte, se Sparta chiamò”, ci sono gli “Ha-ù!” dei guerrieri che sembrano quelli dei Sioux di Cavallo Pazzo”.
Avevo letto che era stato male accolto dalla critica americana, ma mi pare che i critici, come spesso accade, abbiano preso un granchio e soprattutto non abbiano saputo cogliere la chiave di lettura da comics che permea e guida la storia.
Il film è uno stupendo fumetto, tavole e tavole di comics in un cupo colore che sembra quasi bianco e nero, infiocchettato da una enfatica eppure trascinante voce fuori campo, che si scoprirà alla fine essere quella dell'unico sopravvissuto delle Termopili, alla testa di un esercito coalizzato dei greci presto vittorioso contro gli invasori persiani. Un mucchio di teste, gambe e braccia recise rotolano di qui e di là quasi senza soluzione di continuità, ma il sangue che scorre sullo schermo è quello delle strip di un Prince Valiant o al massimo di un Conan il Barbaro disegnato da John Buscema.
Il mondo dei fumetti non è morto, ma è vivo e vitale, si è adattato ai cambiamenti culturali e tecnologici ed è capace di regalarci ancora emozioni persino attraverso le due dimensioni del cinema.

sabato 8 settembre 2007

Capitano, Mio Capitano - ll barbarico Yawp


Tutto il film, direi.

No, che dici? L’attimo fuggente è un film splendido, descrive al meglio le aspirazioni dei ragazzi di ogni tempo e il desiderio di alcuni non piegarsi al conformismo. E’ una storia così avvincente che ti persuade di essere sempre stato un poeta, anche se non hai mai letto un verso di Whitman, Byron o Tennyson. Robin Williams nella parte del professore antisistema John Keating, poi, è insuperabile, non per niente sfiorò l’Oscar... Però tu devi restringere il campo delle tue riflessioni. Concentrarti su un punto specifico.

Allora direi tutte le scene delle lezioni di Williams/Keating. Quando lui parla del “carpe diem”, del “cogli la rosa quando è il momento”. Quando spiega che ciò che ci rende uomini è la poesia (in tutte le sue sfaccettature) e non le sia pur rispettabili professioni come la medicina o l’avvocatura. Quando parla di succhiare il midollo della vita nelle grotte notturne o fa strappare agli allievi l’introduzione del pomposo libro di testo di letteratura. E non scordiamoci di quando fa risuonare “Il mio barbarico YAWP”. Ah, non scordiamoci del barbarico YAWP, per favore.

Sì, dici cose sacrosante. Il barbarico YAWP a me fa ribollire il sangue di pensieri romantici ancora a distanza di anni. Ma ti mantieni ancora troppo largo. Devi restringere il campo delle tue osservazioni.

Ho capito, ti riferisci alla parte finale in cui quel ragazzo, quel Neal, si uccide perché il padre gli nega il permesso di recitare Shakespeare. La morte del sognatore Neal è la chiave di volta del film, dato che dà a quel bacchettone del preside della scuola di Welton l’opportunità di liberarsi del detestato Keating. Magari ti riferisci pure a quando i ragazzi sono costretti alla delazione contro il loro osannato professore per evitare l’espulsione. Che tristezza.

Ancora no. Devi circoscrivere, limitare la tua attenzione a un punto preciso. Ancora non ci sei. Pensa a una sola scena, a una sola sequenza.

Ecco! Ho afferrato tutto. Scena finale. Keating è tornato in classe per prendere le sue cose prima di lasciare la scuola. E davanti allo sguardo esterrefatto di quel parruccone del preside che fa lezione di letteratura alla vecchia maniera, i ragazzi saltano sui banchi al grido di “Capitano, mio Capitano”. Ho messo il fermo immagine sul lettore dvd. Ho contato dieci ragazzi in piedi sui banchi che sfidano l’espulsione e diventano uomini; e altri otto vigliacchi - tra cui quella carogna di Cameron, non dirmi che ti sei scordato di quel piccolo Giuda dalla testa rossa - che se ne rimangono a testa bassa seduti. Ho individuato perfino due banchi vuoti. Voglio proprio vedere se ora avrai il coraggio di dirmi di restringere ancora.

E invece quel coraggio ce l’ho. Devi concentrarti sul titolo italiano del film (migliore di quello americano). Devi cogliere l’attimo, l’attimo fuggente che caratterizza tutto il film.

Allora lo colgo. E’ quel particolare ragazzo, quello e quello solo, il primo che si alza sul banco, quello sensibile e balbuziente, quello che si vergogna di parlare in pubblico, aspetta ricordo pure il nome, Todd Anderson, quando il timido Todd salta sul banco e dice “Capitano mio capitano”, ecco l’attimo decisivo del film. Confesso che mi commuovo sempre vedendo la scena di Todd.

Sì, finalmente ci sei riuscito. Ti commuovi solo? Andiamo, non essere reticente. Fa’ conto che non ci senta nessuno.

Va bene, quando Todd sale sul banco mi vengono gli occhi lucidi. Sempre. Ho questa reazione unicamente quando guardo quella scena da solo e nessuno mi vede. Perché se c’è gente con me mi mostro disinvolto e faccio pure dell’ironia sul film.

Una curiosità, cosa hai provato ieri sera quando hai riguardato le scene salienti del film e hai visto Todd salire sul banco all'uscita di classe del professor Robin Williams? No, non dire niente. Ricordo che eri solo quando hai visto quella scena.

giovedì 30 agosto 2007

Film che restano

Cos'è un capolavoro e perché si definisce così? Chiunque affermi di saperlo è uno sciocco. Non c'è alcun modo di capire che ci si trova di fronte a un'opera fuori della norma nel momento in cui la si vede. Se ti tratta di un film e tu lo vedi ora, il massimo che puoi dire è che è un bel film, che è ben recitato e che ha quelli che a te sono sembrati diversi pregi. Basta. Non puoi aggiungere altro.
La definizione per spiegare un'opera fuori dal comune che ho trovato io è la seguente (si parla in questo caso di cinema). Un film superiore è un film che rimane lì, intatto e integro, assolutamente impermeabile alle offese del tempo, quando sono passati dieci o venti anni (meglio ancora se trenta o più). E' un'eroica statua che gli agenti atmosferici non riescono a intaccare, sebbene ci si impegnino con forza.
Di film siffatti ce ne sono parecchi. Sono rimasti nell'immaginario collettivo. molto più di opere superosannate dalla critica che dopo alcuni anni sono inghiottite nel dimenticatoio. Chi ha scordato la camminata del nerovestito Gary Cooper in Mezzogiorno di fuoco (qualcuno non a caso l'ha definita una delle icone del ventesimo secolo)? Chi ha scordato il voyeurismo di James Stewart in La finestra sul cortile? Ecco cos'è un capolavoro. Un film a cui quel gran farabutto che è il tempo non è mai riuscito a sibilare "Tu sei vecchio!".
P.S. Forse abbiamo sentito parlare di un certo regista come di un maestro indiscusso del cinema e di certi suoi film (in genere sul palloso andante) come di capolavori inarrivabili della cinematografia mondiale. Come si fa a capire se ci hanno raccontato delle balle? E' semplice si aspetta che il regista cocco dei critici in questione muoia e poi si nota se si parla ancora dei suoi film. Se sono trasmessi in televisione, anche a notte fonda, se se ne parla in giro, anche in ambienti specialistici. Se i film di quel presunto maestro del cinema sembrano morti con lui, be', forse non erano questi gran capolavori che ci hanno detto! Questo metodo ha il vantaggio di costringerci a permanere in questa valle di lacrime per qualche anno in più del previsto. :-)

lunedì 27 agosto 2007

The Queen


The Queen è un film che parla della regina Elisabetta soprattutto dopo la morte di Diana. Non è che sia molto avventuroso, ha un taglio documentaristico, ma mi è piaciuto. Avevo letto che la regina d’Inghilterra si era offesa per come veniva presentata sullo schermo, ma mi pare un’assurdità. La protagonista del film è una donna sofisticata, fiera, che si esprime con un linguaggio ricercato e pare pure più avvenente della vera regina, non che ci voglia molto a essere più avvenente dell’equina Elisabetta. E’ vero che la protagonista del film è molto tradizionalista e che dimostra poco dolore per la morte della nuora, ma in certe parti della storia manifesta sensibilità e anche smarrimento esistenziale (in sostanza si rende conto che il mondo è cambiato e che i valori con cui è cresciuta non sono più adeguati).
E’ invece la famiglia reale al gran completo a essere presentata in maniera negativa. Il principe Filippo è un cialtrone senza cuore interessato solo a sparare ai cervi anche in periodo di lutto; Carlo è un codardo tremebondo e opportunista che batte i denti a ogni alitare di vento; la regina madre una tipica esponente dell’aristocrazia precedente la rivoluzione francese; il personale di corte al gran completo, ciambellani e segretari, è fatto da burocrati ottusi che non manifestano alcun sentimento umano.
Tony Blair è presentato come l’unico tra i protagonisti dotato di pietà e umanità (l’attore che lo impersona gli assomiglia pure fisicamente). Si commuove per la morte di Diana, da lui definita “principessa del popolo”, ma si sforza di capire pure il comportamento della regina, da lui vista quasi con affetto filiale, e di comprendere i suoi sbagli. Nessuno in questo film però ci ha minimamente sussurrato che, forse, qualche piccolo errore lo hanno commesso pure il bravo guaglione Tony Blair e la scomparsa Diana… dopotutto siamo tutti umani, no?

venerdì 24 agosto 2007

Testimone d'accusa


Sto vedendo il film di Billy Wilder Testimone d’accusa del ’58 di cui ho parlato nel post Alza la gonna, Marilyn (è su Tmc di pomeriggio). Prime impressioni. Godo perché anche a distanza di decenni mi sembra il capolavoro che ricordavo. La potenza del doppiaggio d’epoca è inaudita. La voce italiana di Charles Laughton non ha rivali.
Vista la scena dell’interrogatorio di Tyrone Power e di Marlene Dietrich. L’avvocato Charles Laughton è il mattatore inarrivabile che ricordavo, domina tutto e tutti. La Dietrich comunque, con la sua gelida disillusione gli sta alla pari. Marlene mi stupisce, ironica, controllata, una donna che ha visto tutto il peggio del mondo, specie quello che si riferisce ai maschi. Disillusa, cinica, riesce a trattare Laughton come un bambino, facendogli scordare di quando era stato il cattivissimo comandante del Bounty. Non immaginavo che potesse essere così brava sullo schermo. Indescrivibile lo sguardo divertito e un po’ sprezzante che concede a ogni uomo sul suo cammino, con cui dice: so tutto dei tuoi vizi, ti sono sempre due spanne avanti, bamboccio. Cavolo, che donna.
Molto efficace pure Tyrone Power, nel ruolo di un gigolò ante litteram. Bravissima l’infermiera di Laughton che cerca di comandarlo a bacchetta dicendo “Facciamo un pisolino” o “Prendiamo la medicina” quando è solo l’anziano avvocato che deve compiere quelle azioni. Due particolari che avevo scordato. Laughton che sale le scale del suo appartamento con un curioso montacarichi personale (è malato e non può sforzarsi). Il raggio di luce che proietta negli occhi degli interrogati è provocato da un monocolo e non dal medaglione che rammentavo. Considerazione finale: sono grato al Creatore quando vedo che i vecchi film che mi hanno fatto sognare anni fa conservano la loro efficacia visiva malgrado il passare del tempo. E’ una cosa che non capita sempre. Il resto delle riflessioni su questo film nel mio post sopra ricordato.

martedì 21 agosto 2007

Film di mattina in un mondo in bianco e nero


C’è un’emozione che nessuno di noi che abbiamo una determinata età scorderà mai. Ha a che fare con il cinema e con i pochissimi film che si davano alla Rai quando l’emittente di Stato era in bianco e nero. A quell’epoca esistevano due soli canali nazionali. E cio che era peggio era che ambedue i canali avevano una cultura di programmazione televisiva degna della televisione bulgara ai tempi del comunismo reale. Ciò significava in sostanza che, oltre ad appestare gli sventurati telespettatori con programmi intitolati “A come agricoltura”, “Frontiere della scienza e della tecnica” o perfino “Programmi sperimentali per i sordi”, non si programmava un film decente se non in casi di emergenza nazionale.
Una piccola parentesi per chiarire che i film che all’epoca, anni Settanta, io consideravo decenti, erano le pellicole hollywoodiane degli anni Cinquanta, i titoli con Gary Cooper o Humphrey Bogart, i western con John Wayne, la commedia sociale o brillante con James Stewart, Cary Grant o Katharine Hepburn. Più di questo sinceramente non era lecito aspettarsi in tivvù. A peggiorare la situazione veniva il fatto che a quei tempi la programmazione televisiva prevedeva due soli film a settimana: il lunedì e il martedì o il mercoledì (ne faceva uno pure il sabato, ma era quasi sempre inguardabile, spesso si trattava addirittura di vecchiume del cinema muto, che comunque abbiamo visto così come ci siamo sciroppati qualunque cosa portasse la dizione “film”). Ebbene, solo il film del lunedì sera dava sufficienti garanzie di appartenere alla corrente cinematografica che io e altri spettatori dell’epoca consideravamo appetibile. Il resto della programmazione televisiva era una specie di roulette russa in cui ti potevano capitare odiose pellicole francesi, montagne di noia dell’Est Europa o perfino schifezze inguardabili con Amedeo Nazzari.
Tuttavia ogni anno invariabilmente accadeva un miracolo alla fine della scuola. Nella mia città e in altre si teneva la Mostra della Casa (A Napoli si allestiva alla Mostra di Oltremare). Era un prodigio che dimostrava l’inequivocabile presenza di Dio su questa terra, ne ero convinto allora e ne sono convinto adesso. La Rai, non so per quale motivo per ben due settimane trasmetteva un film al giorno in occasione dell’evento citato. Un film al giorno per due settimane! Nessuna emozione che io possa provare nel resto della mia vita uguaglierà mai la gioia di quando vedevo scorrere, in quelle mattine di giugno, i titoli di testa di qualche film con Humphrey Bogart o James Stewart. Nessuno che abbia l’età giusta potrà mai scordare il batticuore che accompagnava la sigla di inizio della Rai, quella con le nuvole, e poi l’annuncio del film alle nove (o forse alle dieci) di mattina. E che film. Roba buona. Western, storie con Jerry Lewis, Fred Astaire, Clark Gable o Doris Day. Solo poche volte in quei benedetti film di mattina ti propinavano qualche polpettone romantico italiano o qualche altra fregatura del genere. In ogni modo vedevi pure quella roba e ringraziavi il Cielo per quel dono inatteso perché a caval donato non si guarda in bocca. Ancora oggi ricordo con nitidezza l’emozione dell’attesa, quando, ancor prima che comparissero i titoli di testa, riuscivi a capire dalla colonna sonora o dal leone della MGM, se il film di quella mattina avrebbe fatto volare la tua fantasia.

sabato 21 luglio 2007

Peggy Sue si è sposata

Peggy Sue si è sposata uscì più o meno nello stesso periodo di Ritorno al futuro (metà degli anni Ottanta) e trattava all’incirca dello stesso argomento, un viaggio di circa 25 anni nel passato. Probabilmente è stato visto dai più come un clone delle avventure di Doc e Marty McFly ed è ciò che ha danneggiato questo splendido film di Francis Ford Coppola, pieno di atmosfere malinconiche e nostalgiche, con una colonna sonora azzeccatissima.
Kathleen Turner (Peggy Sue) è una donna di 43 anni che nel pieno di una rimpatriata tra vecchi compagni di scuola ha un malore e si ritrova trasportata all’epoca del liceo, tra rock’n roll e Happy Days venati di profonda nostalgia. La novità del film è che La Turner recita con il suo viso da donna matura pure la parte da adolescente (gli altri personaggi dell’epoca la vedono come una normale teenager di fine anni Cinquanta), riuscendo così a far percepire meglio il contrasto tra le esperienze giovanili vissute da una mente adulta. Peggy Sue canta con trasporto in classe l’inno americano, ha una breve esperienza sentimentale con un compagno di classe “maledetto” da cui all’epoca era attratta, si commuove rivedendo i nonni morti, vive alcuni giorni da ragazza con una coscienza adulta. Tornata di nuovo al presente si riappacifica con il marito Nicolas Cage, probabilmente anche a causa dei cambiamenti stimolati in lei dal viaggio temporale.
Cosa faremmo se potessimo tornare nel passato disponendo delle nostre esperienze attuali? Probabilmente ci comporteremmo come la protagonista del film. Probabilmente ci divertiremmo molto più di quanto ci è capitato e quasi di certo indirizzeremmo la nostra vita futura su binari più confacenti alla nostra personalità.
Il titolo Peggy sue si è sposata è tratto da un successo di Buddy Holly, rock’n roller morto in un incidente aereo nel 1959.

Cinema erotico di Samperi


Malizia di Salvatore Samperi è probabilmente il titolo più rappresentativo del cinema erotico degli anni Settanta, perlomeno è quello che io ricordo con più simpatia. Ancora oggi ho la netta percezione che sia stato il film più eccitante che io abbia mai visto, anche se in realtà l’apice erotico della storia consisteva nello sbirciare sotto la gonna di Laura Antonelli quando saliva su una scala per spolverare i mobili.
La trama. Il vedovo Turi Ferro si innamora della sua cameriera Laura Antonelli, che accetterà la proposta di matrimonio del pretendente solo se i tre figli di lui saranno d’accordo. Tuttavia il secondo figlio Nino - il compianto e bravissimo Alessandro Momo, morto a vent'anni nel 74 e tra l’altro dirimpettaio di Samperi - dimostra poca attitudine a considerare la Antonelli come futura madre, mentre si industria al meglio per portarsela a letto o per coinvolgerla in giochi morbosi. Alla fine la cameriera sposa il vedovo, anche se i due figli grandi dell’uomo sono ben lungi dall’avere per lei sentimenti filiali.
Ricordo che ero ben distante dall'avere l'età per vedere quel film, anche quando giunse nelle terze visioni delle mie parti. Avevo una paura fottuta di essere rimandato indietro quando mi fossi presentato a comprare il biglietto nel cinema; non avrei potuto sopravvivere all’onta di essere considerato come l’ultimo dei mocciosi. Comunque il giorno fatidico mi mimetizzai in una fila di ragazzi vocianti, quasi tutti più grandi di me e cercai di passare per uno più adulto di ciò che ero. Ogni tanto vedevo qualche ragazzino imberbe che riusciva a passare lo sbarramento opposto dalla cassiera e dalla maschera all’entrata della sala di proiezione e mi dicevo che c’era speranza pure per me. Però poco dopo riflettevo che il film era vietato ai minori di diciotto anni, mentre avevo meno dell’età che serve per comprare il latte nelle canzoni di Gianni Morandi. In qualche modo arrivai davanti alla cassiera con la nitida percezione di avvampare per la vergogna e di apparire alla stregua di un lattante. Cercavo di non guardare negli occhi la cassiera come si fa con i professori a scuola per non farsi interrogare, ma con mia somma sorpresa quella non mi degnò nemmeno di uno sguardo. Ero così sollevato che lasciai tutto il resto di mancia alla maschera e fino al momento in cui mi sedetti nella sala del cinema temevo sempre che qualcuno mi gridasse dietro: dove crede di andare quel ragazzino?
Ho rivisto alcuni anni fa in televisione Malizia e mi è piaciuto. Chiaramente aveva perso molta della carica erotica che aveva trent’annii fa, ma alcune situazioni erano ancora intriganti ed eccitanti come poche, il che prova che non si deve sempre mostrare quintali di carne in movimento per generare erotismo. Una cosa che ho scoperto di recente è che la riuscitissima colonna sonora è stata composta nientemeno che da Fred Bongusto, la fotografia era di Vittorio Storaro. La scena più forte in assoluto è quando il protagonista Alessandro Momo palpeggia la vedova consolabile Angela Luce sul retro di una macchina, credo proprio al funerale del marito della Luce. Che altro? Molte attrici sensuali, quasi tutte di una certa età, dalla ricordata Angela Luce a alla stessa Antonelli. Un ottimo Pino Caruso nel ruolo di don Cirillo. Film notevole e bello, di qualità nettamente superiore alla classica commedia erotica di quegli anni.
Di Alessandro Momo ho visto pure Peccato veniale sempre di Salvatore Samperi (c’è un particolare incontro ravvicinato del quarto tipo con la solita Laura Antonelli) e l’ottimo Profumo di donna di Dino Risi (l’accoppiata Momo/Alessandro Gassman funziona molto meglio di quella del remake americano con Al Pacino). Rivedrei volentieri questi tre film.