giovedì 30 agosto 2007

Film che restano

Cos'è un capolavoro e perché si definisce così? Chiunque affermi di saperlo è uno sciocco. Non c'è alcun modo di capire che ci si trova di fronte a un'opera fuori della norma nel momento in cui la si vede. Se ti tratta di un film e tu lo vedi ora, il massimo che puoi dire è che è un bel film, che è ben recitato e che ha quelli che a te sono sembrati diversi pregi. Basta. Non puoi aggiungere altro.
La definizione per spiegare un'opera fuori dal comune che ho trovato io è la seguente (si parla in questo caso di cinema). Un film superiore è un film che rimane lì, intatto e integro, assolutamente impermeabile alle offese del tempo, quando sono passati dieci o venti anni (meglio ancora se trenta o più). E' un'eroica statua che gli agenti atmosferici non riescono a intaccare, sebbene ci si impegnino con forza.
Di film siffatti ce ne sono parecchi. Sono rimasti nell'immaginario collettivo. molto più di opere superosannate dalla critica che dopo alcuni anni sono inghiottite nel dimenticatoio. Chi ha scordato la camminata del nerovestito Gary Cooper in Mezzogiorno di fuoco (qualcuno non a caso l'ha definita una delle icone del ventesimo secolo)? Chi ha scordato il voyeurismo di James Stewart in La finestra sul cortile? Ecco cos'è un capolavoro. Un film a cui quel gran farabutto che è il tempo non è mai riuscito a sibilare "Tu sei vecchio!".
P.S. Forse abbiamo sentito parlare di un certo regista come di un maestro indiscusso del cinema e di certi suoi film (in genere sul palloso andante) come di capolavori inarrivabili della cinematografia mondiale. Come si fa a capire se ci hanno raccontato delle balle? E' semplice si aspetta che il regista cocco dei critici in questione muoia e poi si nota se si parla ancora dei suoi film. Se sono trasmessi in televisione, anche a notte fonda, se se ne parla in giro, anche in ambienti specialistici. Se i film di quel presunto maestro del cinema sembrano morti con lui, be', forse non erano questi gran capolavori che ci hanno detto! Questo metodo ha il vantaggio di costringerci a permanere in questa valle di lacrime per qualche anno in più del previsto. :-)

lunedì 27 agosto 2007

The Queen


The Queen è un film che parla della regina Elisabetta soprattutto dopo la morte di Diana. Non è che sia molto avventuroso, ha un taglio documentaristico, ma mi è piaciuto. Avevo letto che la regina d’Inghilterra si era offesa per come veniva presentata sullo schermo, ma mi pare un’assurdità. La protagonista del film è una donna sofisticata, fiera, che si esprime con un linguaggio ricercato e pare pure più avvenente della vera regina, non che ci voglia molto a essere più avvenente dell’equina Elisabetta. E’ vero che la protagonista del film è molto tradizionalista e che dimostra poco dolore per la morte della nuora, ma in certe parti della storia manifesta sensibilità e anche smarrimento esistenziale (in sostanza si rende conto che il mondo è cambiato e che i valori con cui è cresciuta non sono più adeguati).
E’ invece la famiglia reale al gran completo a essere presentata in maniera negativa. Il principe Filippo è un cialtrone senza cuore interessato solo a sparare ai cervi anche in periodo di lutto; Carlo è un codardo tremebondo e opportunista che batte i denti a ogni alitare di vento; la regina madre una tipica esponente dell’aristocrazia precedente la rivoluzione francese; il personale di corte al gran completo, ciambellani e segretari, è fatto da burocrati ottusi che non manifestano alcun sentimento umano.
Tony Blair è presentato come l’unico tra i protagonisti dotato di pietà e umanità (l’attore che lo impersona gli assomiglia pure fisicamente). Si commuove per la morte di Diana, da lui definita “principessa del popolo”, ma si sforza di capire pure il comportamento della regina, da lui vista quasi con affetto filiale, e di comprendere i suoi sbagli. Nessuno in questo film però ci ha minimamente sussurrato che, forse, qualche piccolo errore lo hanno commesso pure il bravo guaglione Tony Blair e la scomparsa Diana… dopotutto siamo tutti umani, no?

venerdì 24 agosto 2007

Testimone d'accusa


Sto vedendo il film di Billy Wilder Testimone d’accusa del ’58 di cui ho parlato nel post Alza la gonna, Marilyn (è su Tmc di pomeriggio). Prime impressioni. Godo perché anche a distanza di decenni mi sembra il capolavoro che ricordavo. La potenza del doppiaggio d’epoca è inaudita. La voce italiana di Charles Laughton non ha rivali.
Vista la scena dell’interrogatorio di Tyrone Power e di Marlene Dietrich. L’avvocato Charles Laughton è il mattatore inarrivabile che ricordavo, domina tutto e tutti. La Dietrich comunque, con la sua gelida disillusione gli sta alla pari. Marlene mi stupisce, ironica, controllata, una donna che ha visto tutto il peggio del mondo, specie quello che si riferisce ai maschi. Disillusa, cinica, riesce a trattare Laughton come un bambino, facendogli scordare di quando era stato il cattivissimo comandante del Bounty. Non immaginavo che potesse essere così brava sullo schermo. Indescrivibile lo sguardo divertito e un po’ sprezzante che concede a ogni uomo sul suo cammino, con cui dice: so tutto dei tuoi vizi, ti sono sempre due spanne avanti, bamboccio. Cavolo, che donna.
Molto efficace pure Tyrone Power, nel ruolo di un gigolò ante litteram. Bravissima l’infermiera di Laughton che cerca di comandarlo a bacchetta dicendo “Facciamo un pisolino” o “Prendiamo la medicina” quando è solo l’anziano avvocato che deve compiere quelle azioni. Due particolari che avevo scordato. Laughton che sale le scale del suo appartamento con un curioso montacarichi personale (è malato e non può sforzarsi). Il raggio di luce che proietta negli occhi degli interrogati è provocato da un monocolo e non dal medaglione che rammentavo. Considerazione finale: sono grato al Creatore quando vedo che i vecchi film che mi hanno fatto sognare anni fa conservano la loro efficacia visiva malgrado il passare del tempo. E’ una cosa che non capita sempre. Il resto delle riflessioni su questo film nel mio post sopra ricordato.

martedì 21 agosto 2007

Film di mattina in un mondo in bianco e nero


C’è un’emozione che nessuno di noi che abbiamo una determinata età scorderà mai. Ha a che fare con il cinema e con i pochissimi film che si davano alla Rai quando l’emittente di Stato era in bianco e nero. A quell’epoca esistevano due soli canali nazionali. E cio che era peggio era che ambedue i canali avevano una cultura di programmazione televisiva degna della televisione bulgara ai tempi del comunismo reale. Ciò significava in sostanza che, oltre ad appestare gli sventurati telespettatori con programmi intitolati “A come agricoltura”, “Frontiere della scienza e della tecnica” o perfino “Programmi sperimentali per i sordi”, non si programmava un film decente se non in casi di emergenza nazionale.
Una piccola parentesi per chiarire che i film che all’epoca, anni Settanta, io consideravo decenti, erano le pellicole hollywoodiane degli anni Cinquanta, i titoli con Gary Cooper o Humphrey Bogart, i western con John Wayne, la commedia sociale o brillante con James Stewart, Cary Grant o Katharine Hepburn. Più di questo sinceramente non era lecito aspettarsi in tivvù. A peggiorare la situazione veniva il fatto che a quei tempi la programmazione televisiva prevedeva due soli film a settimana: il lunedì e il martedì o il mercoledì (ne faceva uno pure il sabato, ma era quasi sempre inguardabile, spesso si trattava addirittura di vecchiume del cinema muto, che comunque abbiamo visto così come ci siamo sciroppati qualunque cosa portasse la dizione “film”). Ebbene, solo il film del lunedì sera dava sufficienti garanzie di appartenere alla corrente cinematografica che io e altri spettatori dell’epoca consideravamo appetibile. Il resto della programmazione televisiva era una specie di roulette russa in cui ti potevano capitare odiose pellicole francesi, montagne di noia dell’Est Europa o perfino schifezze inguardabili con Amedeo Nazzari.
Tuttavia ogni anno invariabilmente accadeva un miracolo alla fine della scuola. Nella mia città e in altre si teneva la Mostra della Casa (A Napoli si allestiva alla Mostra di Oltremare). Era un prodigio che dimostrava l’inequivocabile presenza di Dio su questa terra, ne ero convinto allora e ne sono convinto adesso. La Rai, non so per quale motivo per ben due settimane trasmetteva un film al giorno in occasione dell’evento citato. Un film al giorno per due settimane! Nessuna emozione che io possa provare nel resto della mia vita uguaglierà mai la gioia di quando vedevo scorrere, in quelle mattine di giugno, i titoli di testa di qualche film con Humphrey Bogart o James Stewart. Nessuno che abbia l’età giusta potrà mai scordare il batticuore che accompagnava la sigla di inizio della Rai, quella con le nuvole, e poi l’annuncio del film alle nove (o forse alle dieci) di mattina. E che film. Roba buona. Western, storie con Jerry Lewis, Fred Astaire, Clark Gable o Doris Day. Solo poche volte in quei benedetti film di mattina ti propinavano qualche polpettone romantico italiano o qualche altra fregatura del genere. In ogni modo vedevi pure quella roba e ringraziavi il Cielo per quel dono inatteso perché a caval donato non si guarda in bocca. Ancora oggi ricordo con nitidezza l’emozione dell’attesa, quando, ancor prima che comparissero i titoli di testa, riuscivi a capire dalla colonna sonora o dal leone della MGM, se il film di quella mattina avrebbe fatto volare la tua fantasia.